Il Potere della Compassione Buddista nella Vita Quotidiana. Dopo quattro intensi anni trascorsi in un monastero situato sull’altopiano del Tibet, ho imparato a vedere la realtà con occhi completamente nuovi. La meditazione trascendentale occupava moltissime ore al giorno, anche se oggi non saprei dire esattamente quante fossero, davvero tantissime.
Tuttavia, oggi desidero condividere con te un metodo efficace e applicabile per affrontare e dissolvere il dolore, se compreso in profondità. Lo trovi in questo post è da applicare.
Non aspettarti una guida dettagliata: i miei maestri non offrivano soluzioni preconfezionate, ma solo simboli e parole da decifrare con responsabilità personale.
Se qualcosa sfuggiva alla mia comprensione, toccava a me approfondire ogni significato fino a raggiungere la consapevolezza completa del concetto ricevuto.

Compassione (in pāli: karuṇā) = Volontà profonda di alleviare la sofferenza altrui.

Nel Buddhismo, compassione significa: percepire direttamente la sofferenza dell’altro, senza giudicarla; senza giudicarla , senza giudicarla, nel senso crudo fatti i cazzi tuoi. Abbracciarla con la mente e il cuore aperti; e, se possibile, agire per alleviarla, con gentilezza e saggezza.

Differenze essenziali:

Pietà: Guardare l’altro “dall’alto in basso”, come se fosse debole

Empatia: Sentire ciò che sente l’altro (può esaurire)

Compassione: Sentire la sofferenza dell’altro e desiderare sinceramente che finisca, con equilibrio interiore.

Perché è centrale nel Buddhismo la compassione?

Perché tutti gli esseri viventi soffrono, e la compassione è il ponte che ci unisce.

È una delle Quattro Dimore Divine (brahma-vihāra), insieme a:

Metta (benevolenza),

Mudita (gioia per il bene altrui),

Upekkha (equanimità).

Come diceva il Dalai Lama: “Se vuoi renderti felice, pratica compassione. Se vuoi rendere gli altri felici, pratica compassione.”

Praticare la compassione significa:

Ascoltare senza fretta o giudizio

Non reagire con rabbia al male, ma cercare di capirne la radice

Vedere l’altro come parte di sé.

Agire per il bene dell’altro, anche senza ricevere nulla in cambio è un atto raro, ma profondamente umano.
Per natura, noi siamo esseri creativi: amiamo pensare, costruire, dare forma alle cose. La nostra vita è una continua creazione.
Ma se osservi bene, quasi tutte le nostre creazioni hanno uno scopo implicito: ottenere qualcosa in cambio.
Che sia riconoscimento, gratitudine, affetto o un risultato tangibile — cerchiamo sempre di avere.

E allora, cosa significa davvero compassione? È creare senza avere. È donare senza aspettarsi nulla. È fare del bene solo perché l’altro stia meglio, cresca, si illumini — non per sentirci buoni, ma perché sentiamo che siamo anche lui. Molti fanno donazioni, ed è nobile. Ma aiutare qualcuno direttamente, con la propria presenza, con la propria energia, guidandolo o semplicemente ascoltandolo con tutto il cuore, è un atto più impegnativo e responsabile. Richiede consapevolezza, empatia, tempo, coraggio. Ed aiutare non è fare le cose Tu per altri, ma indottrinarli.

È compassione innaata . Naturalmente, non possiamo vivere sempre senza ricevere: la sopravvivenza è reale, e non si tratta di fare della propria vita un sacrificio continuo.
Ma ogni tanto, creare senza avere… ci ricorda chi siamo, e da dove nasce la vera gioia.

Vedere l’altro come parte di sé, significa riconoscere che non esiste una vera separazione tra “io” e “tu”.


Shakyamuni Buddha ha coltivato questa comprensione per molte vite (come narrano i Jātaka), perché sapeva che solo superando l’ego e sentendosi intimamente connesso a ogni essere vivente si può raggiungere il Risveglio. Non si tratta di diventare un’altra persona, ma di essere disposti ad accoglierla pienamente, senza giudizio. Significa non opporsi a ciò che l’altro emana, non bloccare il flusso della sua sofferenza, non costruire barriere. Essere disposti ad “essere l’altro” vuol dire: non respingerlo, non volerlo diverso, ma amarlo così com’è, nella sua verità, nel suo dolore, nella sua umanità. Solo così nasce la vera compassione.

Compassione Buddhista

Amare davvero qualcuno è smettere di volerlo cambiare con forza, ma nel portarlo ad illuminarsi, e iniziare a permettergli di essere. In quello spazio nasce la vera guarigione.

Meditazione guidata (30 secondi di lettura interiore)

Chiudi gli occhi.
Respira profondamente.
Pensa a qualcuno che ti è vicino.
Forse soffre. Forse non è come tu vorresti.

Ora sussurra nel cuore:

“Ti permetto di essere come sei. Non ti forzo. Non ti giudico. Ti vedo, ti accolgo.”

Respira ancora.
Senti lo spazio che si apre tra te e l’altro.
In quello spazio c’è libertà. E in quella libertà… nasce l’amore autentico.

Molti desiderano la pace nel mondo, ma pochi accettano davvero che ogni essere possa liberarsi dalla propria sofferenza e ne sia libero— perché la libertà altrui mette in discussione le nostre catene.

Il racconto continua. DIO: Anche tu puoi svegliarti. Il Buddha non l’ha mai negato.

Durante le sue peregrinazioni una volta gli venne chiesto: “Sei un uomo, un dio o un essere divino?“. A ciò rispose semplicemente: “Mi sono risvegliato”. Era Buddha.  Un precetto fondamentale degli insegnamenti di Buddha era che essi devono essere utili; se non servono come soluzioni vere e funzionali che portano al benessere e all’emancipazione spirituale, non sono di valore. In definitiva, la verità della filosofia doveva essere di valore in modo credibile per l’Umanità: “Solo questo insegno: la sofferenza e la sua cessazione”, disse Buddha. Le basi del suo insegnamento erano le Quattro Nobili Verità, che lui spiegava rappresentare le cause e le soluzioni alla sofferenza e che erano il sentiero verso la vera felicità e liberazione. La versione semplice di questo credo fondamentale è.

Siddhartha e l’Illuminazione: Il Momento della Trasformazione Spirituale

illuminazione ,compassione Buddhista

La statuetta raffigurata sulla destra mostra Siddhartha seduto in meditazione profonda sopra il trono di loto, nell’istante esatto in cui raggiunge l’illuminazione.
Con la mano destra che tocca la Terra, egli richiama la Natura come testimone della verità del suo risveglio spirituale dopo settimane di profonda introspezione.
Per sette settimane consecutive, immerso nella meditazione sotto l’albero del Bodhi, ha affrontato e sconfitto ogni distrazione, desiderio e illusione terrena con fermezza.
Superando i demoni interiori e dissolvendo le ultime ombre dell’ignoranza, Siddhartha si libera completamente dal ciclo di sofferenza e diventa il Buddha.
Questo stato di coscienza assoluta lo rende un essere completamente illuminato, pronto a condividere con il mondo le Quattro Nobili Verità per la liberazione umana. Attraverso la compassione buddista, il Buddha trasforma la sua realizzazione interiore in un dono universale di saggezza, accessibile a chiunque sia disposto a cercare.

Garuda e il Valore della Compassione – Compassione buddista

Una scultura esposta al celebre Metropolitan Museum of Art raffigura una potente scena tratta dai racconti Jataka della tradizione buddhista antica e popolare. In questo episodio, il protagonista è Garuda, una creatura mitologica simile a un uccello gigante, dotata di forza sovrumana, intelligenza straordinaria e potere tempestoso. Con un semplice battito d’ali, questi esseri possono scatenare tempeste capaci di travolgere interi regni e seminare il caos in pochi attimi. In forma umana, il re dei Garuda si reca alla corte del re di Benares per sfidarlo in una partita di dadi e si innamora della regina. Preso dall’impulso, rapisce la regina Kakati, ma il rimorso per la sofferenza causata al re lo porta a restituirla, guidato da una compassione profonda.Questo Jataka mostra che anche i potenti possono scegliere l’empatia: la compassione buddista trasforma il cuore, portando giustizia e riparazione al dolore causato.

L’Asceta Megha e la Profezia del Buddha – Compassione buddista

Molti racconti morali noti come Jataka sono stati immortalati in forme artistiche, come il pannello visibile presso il Metropolitan Museum of Art di New York. Questa particolare opera rappresenta la storia di Megha, un giovane asceta che desidera ardentemente raggiungere l’illuminazione nella via del Dharma. Durante il suo cammino, Megha incontra il Buddha Dipankara e gli rende omaggio tre volte: con fiori, prostrazione e un volo rituale sopra la sua figura. Questi gesti non sono semplici simboli, ma atti di profonda devozione e altruismo, chiavi essenziali verso il risveglio spirituale secondo gli insegnamenti buddhisti. Il Buddha Dipankara, colpito dalla sincerità del cuore di Megha, profetizza che un giorno egli stesso diventerà il Buddha Shakyamuni. La compassione buddista si riflette qui nell’altruismo del percorso spirituale: solo servendo gli altri si può aspirare al vero nirvana e all’illuminazione eterna.

jataka di dipankara

La Verità della Sofferenza Umana – Compassione buddista

La Prima Nobile Verità ci mostra una realtà inevitabile: esiste sofferenza nella vita, ed essa tocca ogni essere vivente, senza alcuna eccezione.
Si invecchia, si muore, e lo stesso accade a tutte le persone care, amici, familiari e conoscenti: è una legge naturale universale.
Il Buddha, in maniera diretta e senza giri di parole, parlava di questa condizione con profonda chiarezza e serenità.
Questa visione non vuole essere pessimismo, bensì una presa di coscienza, il primo passo verso la liberazione.
Solo accettando la realtà della sofferenza possiamo iniziare un cammino di consapevolezza profonda e cambiamento. La compassione buddista nasce da questa comprensione iniziale: non fuggire il dolore, ma attraversarlo con consapevolezza per trasformarlo in saggezza e amore universale.

Le Cause della Sofferenza e il Desiderio – Compassione buddista

La Seconda Nobile Verità ci invita ad osservare da vicino l’origine autentica della sofferenza umana: l’attaccamento cieco ai nostri desideri mondani.
Desideri di status, possesso, controllo e piacere: sono questi che ci incatenano alla ruota del dolore.
Naturalmente non tutti i desideri sono dannosi; ad esempio, desiderare l’illuminazione è un impulso nobile e costruttivo.
Ma è fondamentale saper distinguere i desideri puri da quelli guidati da impulsi egoistici e transitori.
Desiderare una Ferrari può sembrare innocuo, ma è un attaccamento che genera ansia, paura e insoddisfazione costante. La compassione buddista ci guida nel comprendere che il vero benessere nasce dal distacco e dal superamento degli impulsi, non dalla loro soddisfazione continua.

scene di vite passate

La Fine della Sofferenza Attraverso la Consapevolezza – Compassione buddista

La Terza Nobile Verità insegna che la cessazione del dolore è possibile solo attraverso l’abbandono delle reazioni automatiche e lo sviluppo di una mente riflessiva.
Questa verità cambia ogni prospettiva: il dolore non è eterno, è uno stato transitorio che può essere trasformato.
Attraverso pratiche di consapevolezza e meditazione, è possibile sciogliere il legame tra emozione e reazione.
Smettere di reagire istintivamente è il primo passo verso la libertà autentica, quella spirituale.
Non è un processo immediato, ma graduale, che richiede impegno, costanza e una profonda fiducia nel percorso. La compassione buddista ci insegna che coltivando mente lucida e cuore aperto, possiamo spegnere il fuoco della sofferenza alla radice.

Il Sentiero Verso la Liberazione – Compassione buddista

La Quarta Nobile Verità rivela il percorso concreto per superare la sofferenza: l’Ottuplice Sentiero, pilastro centrale della pratica buddista.
Questo sentiero include retta parola, retta azione, retta consapevolezza e altri principi che trasformano la mente e lo spirito.
Seguendo questi otto passaggi, il praticante inizia a distaccarsi dalle illusioni e a camminare verso l’illuminazione.
Il Buddha stesso ammoniva a non accettare gli insegnamenti ciecamente, ma verificarli nella propria esperienza.
“Se un insegnamento conduce a dolore, rifiutalo”, diceva, sottolineando l’importanza dell’autenticità. La compassione buddista rende questo cammino possibile, poiché solo attraverso il cuore aperto si possono percorrere le vie del Dharma con verità e coerenza.

La Via del Dharma e i Racconti Antichi – Compassione buddista

Il Dharma non è solo teoria, ma è anche raccontato nei Jataka, storie millenarie delle vite anteriori del Buddha prima dell’illuminazione. Questi racconti, affascinanti e carichi di simbolismo, illustrano con esempi concreti le qualità che un praticante deve sviluppare.
Ogni storia è una lezione, ogni incarnazione del Buddha è un invito all’azione compassionevole.
L’anatra d’oro, ad esempio, ci parla dell’avidità e delle sue tragiche conseguenze, mentre la tartaruga ci avverte contro l’attaccamento al passato. Attraverso queste narrazioni, il Dharma si avvicina alle persone comuni, superando caste, dogmi e barriere culturali. La compassione buddista, come mostrato in questi racconti, è universale e accessibile: tutti possono imparare, trasformarsi e contribuire al benessere collettivo.

La Timida Lepre e la Saggezza del Leone – Compassione buddista

il leone calma il caos

Questa storia animale è una lezione eterna sull’importanza di non basare decisioni su informazioni distorte, incomplete o del tutto errate. Una timida lepre, mentre riposa sotto una palma alla ricerca d’ombra, viene improvvisamente svegliata dal tonfo improvviso di un frutto caduto sopra di lei. Terrorizzata, scatta in fuga urlando che il mondo sta per finire, generando panico tra gli altri animali che cominciano a correre all’impazzata. Ogni animale trasmette il messaggio con crescente paura, dando vita a un’isteria collettiva verso un precipizio pericolosissimo. In questa vita, il Buddha è un leone saggio che, notando il caos, emette tre potenti ruggiti che immobilizzano la folla spaventata. La compassione buddista si manifesta nel leone che con saggezza risale alla fonte della paura, rassicura gli animali e impedisce una tragedia, salvando molte vite innocenti.

Metti quella parte “nel futuro” applica !

Che vi è un equilibrio (due forze in armonia) in tutte le cose è risaputo. Quando viene a mancare le cose si deteriorano. Ovvio che mi rivolgo alla forza che spinge per creare il futuro,Quella che spinge avanti (creazione, evoluzione, futuro)(che ancora non c’è!!!) se freni quella ti farà male il dente, l’ occhio, il dito…devi mettere nel futuro il dito, il dente, l’ occhio etc..equilibrare sistema le cose, non devi “curarle”…questa cosa è tanto ovvia quanto nascosta.

Non frenare mai la forza che spinge verso il futuro.

Quando quella che spinge avanti viene bloccata, frenata o ignorata,

l’equilibrio si spezza… e le cose si deteriorano, .

Non perché siano “malate”, ma perché non stanno più andando da nessuna parte.

Metti quella parte “nel futuro”

Immagina il dito, l’occhio, il cuore, non nel dolore… ma in cammino, in movimento, in un domani attivo.

Meditazione semplice:

Chiudi gli occhi.
Visualizza la parte dolorante.
Non bloccarla. Immaginala mentre si muove, agisce, vive.
Dille: “Vai avanti. Non ti trattenere.”

Il corpo, se “vede” un futuro, ritrova la direzione. E si calma.

Viva il lupo

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